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Riproponiamo questo articolo di Cristinaexpat del 2006, scritto quando si era da poco installata a Parigi con la sua famiglia, perché è un bellissimo esempio di sentimenti all’installazione e contiene alcuni spunti interessanti per chi si trova oggi nella sua stessa situazione e destinazione.


Dopo tre anni di vita africana, siamo approdati a Parigi, ancora espatriati, ma in terra europea, che è un po’ come tornare a casa, e l’impatto con questo nuovo paese è stato dolce come non mai. 


In realtà le difficoltà non sono mancate, a cominciare dalla ricerca di una casa in cui vivere e a seguire da tutta una serie di incombenze non ancora concluse. Ma il fatto di essere a Parigi mi ha fatto dimenticare ogni fatica o, forse, ho assimilato anch’io un po’ della cultura africana e qualsiasi difficoltà la affronto dicendo “No wahalla!” (non è un problema).

In questa splendida città, dove i parametri culturali sono molto simili ai nostri italiani, esistono tuttavia peculiarità che possono rendere accidentato e a volte divertente il vostro soggiorno. Vediamone alcune.

La lingua francese
Ovviamente per chi il francese non lo conosce, la difficoltà di gran lunga maggiore della vita in Francia è la lingua. Sono pochi i francesi che parlano inglese a Parigi, in prevalenza giovani e raramente si trova personale parlante inglese negli uffici di pubblica utilità.

In famiglia l’unica che ha studiato un po’ di francese è la sottoscritta: il marito persevera integerrimo nell’usare l’inglese anche in ufficio, riuscendoci peraltro benissimo. Mia figlia di sei anni ha iniziato il francese qui a Parigi e, con un’ora al giorno a scuola, sta velocemente superando i miei deboli pilastri linguistici.

In famiglia comunque ci vuole qualcuno che parli la lingua del posto, non fosse che per chiamare i pompieri in caso di bisogno. Il mio livello si potrebbe definire survival, ma solo se utilizzato face to face, in quanto coadiuvato notevolmente dalla proverbiale mimica delle mie origini italiane.

Giusto per farvi qualche esempio, la prima volta che ho chiamato il pediatra sono andata in tilt quasi subito, non appena la segretaria mi ha chiesto se volevo un rendez-vous: per qualche oscuro motivo nei meandri della mia mente avevo tradotto la parola rendez-vous come rotatoria stradale. Non ridete: è davvero tragico dover cercare di rispondere a chi vi chiede se volete una rotatoria stradale.

Il problema con la lingua francese è anche che molti, troppi, vocaboli assomigliano terribilmente a quelli italiani e quindi c’è la tendenza a credere di conoscerne il significato senza andare a verificare su un dizionario. Quando mi hanno consigliato da più parti di rivolgermi al mairie per trovare un asilo e per chiedere indirizzi per i corsi di francese, ho cercato in Internet, trovando anche il sito ufficiale del Mairie e sono rimasta sorpresa e sconcertata nello scoprire che fosse il municipio: credevo si trattasse piuttosto di un’associazione di volontariato ad ispirazione mariana.

Con il mio povero francese riesco tuttavia a sopravvivere, ma il vero problema arriva quando è necessario fare una telefonata e, credetemi, non avete idea di quante camicie sudate mi sono costate chiamare il tecnico per la lavatrice affrontando nell’ordine:

1) Un call center in francese con risposta automatica VOCALE!!!! (a stento capivo cosa dovevo scegliere e cosa dovevo dire per superare gli sbarramenti e poi, una volta individuata la parola chiave dopo 4-5 chiamate telefoniche per riascoltare il messaggio registrato, rimaneva sempre il problema di pronunciare perfettamente la parolina magica, perchè se la pronuncia non è perfetta … ”Je suis desolée… Je n’ai pas compris…” si ricomincia da capo).

2) Un tecnico in linea (wow! alla fine ci sono riuscita a superare il livello del call center!!!) che non spiaccica una parola di inglese e che per prima cosa vuole solo e soltanto il mio numero di telefono: glielo detto e per tutta risposta, mi dice che non è possibile che sia io perchè il numero corrisponde ad un’altra persona e… mi butta giù la cornetta.

3)Un altro tecnico in linea (generalmente non mollo facilmente, ma se mi trattano a pesci in faccia, divento anche una belva e scopro doti nascoste nelle mie abilità comunicative, oltre alle energie necessarie ad affrontare un altro calvario nel girone dantesco del call center vocale), il quale con molta gentilezza e un paio di parole in inglese riesce a spiegarmi che se non gli fornisco il numero di matricola della macchina non può nemmeno mandarmi assistenza. Quando gli spiego che il numero di matricola si trova sul retro della macchina incassata nei mobili della cucina… sono già arrivata alla frutta e decido di chiedere aiuto a qualcuno che conosca oltre la lingua anche gli usi e consuetudini locali per mandare a quel paese gli impiegati storditi!!!

Con l’aiuto di Claudia (grazie Claudia!!!!!!!), ho iniziato quindi a costruirmi una sorta di elenco di frasi pronte per affrontare le telefonate… “Scusi, non parlo bene francese”, “Parla inglese? (la prima e la più usata), “Vorrei parlare con…”

Ma non ho fatto i conti con la testardaggine dei francesi (niente di personale, ma in questa cosa sono proprio testardi): anche se si spiega loro che sei straniera e non parli francese, loro continuano imperterriti, molto gentili ma imperterriti, a parlarti e a farti domande e a te non resta che sembrare scortese perché non sei in grado di rispondere. Lo fanno un po’ tutti, tassisti, negozianti e ovviamente tutti gli ex-conoscenti del mio padrone di casa, dal quale ho ereditato il numero di telefono: in media una o due volte al giorno ricevo chiamate dirette a lui.
Rispondo spiegando come posso che non sono io la moglie di questo tizio (poco importa, va bene anche un’eventuale amante e… continuano), che ho affittato l’appartamento (sì, va bene e allora?) e che il padrone di casa abita all’estero (e quindi… quando torna???). 
Gli unici che mollano appena si rendono conto che non capisco la lingua, sono gli addetti al telemarketing: “Au revoir, Madame!” (Deo gratias!)

Tutto sommato, a parte gli episodi anche divertenti come questi e qualche raro caso di maleducazione che si trova, ahimè, in tutti i paesi del mondo, devo sottolineare che i francesi si sono sempre dimostrati molto pazienti con le mie difficoltà linguistiche, ho sempre ricevuto attenzione e aiuto e in alcuni casi ci sono stati episodi degni di menzione.

1. L’acquisto del passeggino: la commessa del negozio qui all’angolo dovrebbe ricevere una candidatura all’oscar della mimica, tanto è stato l’impegno profuso nell’illustrare con anima e corpo (in senso letterale) le specifiche tecniche dell’articolo che mi interessava, nutrendo ogni spiegazione con frasi semplificate a prova di lattante e dimostrazioni pratiche. Ho fatto il mio acquisto in piena sicurezza: avevo capito veramente tutto!

2. Il portiere dello stabile in cui vivo: persona distinta di squisita cortesia, sono sicura che si prepara prima le frasi da dirmi per spiegarmi le cose, usando un linguaggio semplice ed efficace. Non posso dire altrettanto di me: quando parlo con lui genero dei miscugli terribili di parole francesi e congiunzioni inglesi, incomprensibili anche al più volonteroso.

3. Ma la medaglia al valore spetta alla responsabile dell’asilo a cui ho iscritto mio figlio: questa santa donna al nostro primo appuntamento, ha dedicato alla sottoscritta quasi due ore del suo tempo, con una pazienza infinita, spiegandomi in francese ogni singola parola del regolamento e del funzionamento dell’asilo, con il sorriso sulle labbra, senza mai un cedimento o un cenno di impazienza: questa sì che è vocazione all’insegnamento!
Lo shopping
Parigi può essere tranquillamente definita il paradiso dello shopping, passeggiare per le vie della città guardando i negozi, fermarsi ad un caffè o ad una brasserie per uno spuntino, sono attività molto piacevoli e le differenze linguistiche non sono certo un problema: ho scoperto come la carta VISA possa fare miracoli per capire una lingua e funge da traduttore simultaneo molto efficace.

Questo almeno finché non ti rubano il portafoglio, con destrezza da manuale (sì, mi è capitato anche questo: in tre anni di Nigeria non mi hanno mai rubato nulla a parte lo zucchero e qui dopo neanche due settimane ho dovuto bloccare due carte di credito e sono rimasta senza patente), e allora si può scoprire come in Francia non sia così difficile presentare una denuncia al commissariato di polizia, parlottando un misto di inglese/francese/italiano e divertendosi anche.

Comunque, a parte i furti che rappresentano un evento raro, nello shopping parigino è necessario fare molta attenzione se non ci si vuole ritrovare al verde: guardare una vetrina può rivelarsi fatale. “Oh, che bel golfino” mi sono detta un giorno di fronte ad un negozietto senza tante pretese. Per fortuna ho cercato il cartellino del prezzo prima di entrare e mi sono sentita mancare.
Una settimana fa ho visto dei bellissimi manghi in vendita in un fruttivendolo e sono entrata per comprarli, senza badare al prezzo perché ormai sapevo già che si aggirava intorno ai 1,4-1,6 euro. Ho comprato 4 manghi e mi sono vista presentare un conto da gioielliere: 19,8 euro !!! Come dicono i francesi in questi casi? Non l’ho ancora imparato. Ma il dubbio ce l’ho ancora oggi: che si dovesse contrattare il prezzo come in Nigeria?
I box auto
La città di Parigi è tappezzata di palazzi antichi, adiacenti l’uno all’altro, tutti proiettati in svariati piani verso l’alto e angustiosamente verso il basso, affossati nel terreno per decine di metri, spesso nascondendo 4 o 5 livelli anche nel sottosuolo.
Spazi per grandi parcheggi all’aperto non ce ne sono molti e la soluzione al problema del parcheggio delle vetture dei parigini è stata trovata nell’utilizzo del sottosuolo della città. Così molti degli stabili hanno ristrutturato i loro sotterranei trasformandoli in garage e sfruttando al massimo lo spazio a loro disposizione.

Quando ci hanno assegnato il nostro posto auto, in un edificio a circa 150 metri da casa, siamo andati tutti insieme il sabato mattina a visitare (ovviamente con l’auto) il nostro box.

Nulla ci aveva preparato a quest’avventura: non ci immaginavamo cosa avremmo incontrato oltre quel basculante, ma per prima cosa il basculante… bisognava aprirlo e lui non voleva saperne di obbedire al segnale del telecomando. L’ingresso era già un programma: dalla stradina stretta a senso unico, bisognava affrontare un quasi-tornante e subito una certa pendenza e il solo imbocco dell’ingresso ha richiesto tre manovre, risicando i muretti periferici. Bisognava quindi fermarsi (in pendenza) e aprire il basculante, con il telecomando. Se il telecomando non funziona, si riprova a schiacciare il pulsantino mettendo un braccio fuori dal finestrino e se poi non funziona ancora… beh, allora non resta che scendere, ma non è impresa facile, in pendenza e con uno spazio limitatissimo tra la vettura e il muro. Per grazia, il basculante si è impietosito e, bip bip bip, luci psichedeliche e tutto il resto, compresa una piccola retromarcia perché il basculante si è aperto dal nostro lato, … il mondo dei garage sotterranei parigini si è spalancato davanti ai nostri occhi: una discesa repentina risicata tra i due muri, ombre e affratti, curve a 90 gradi e pendenze da 45; vie d’ingresso a senso unico, quasi che si tratti di un viaggio a sola andata e in effetti te lo chiedi (e non solo la prima volta): come si esce? E se si incontra qualcuno? E soprattutto come si fa inversione se per qualche malcapitato motivo non si trovasse un box vuoto in cui infilarsi? 

Abbiamo preso coraggio e l’auto si è inclinata nella discesa verso l’abisso. Di fronte a noi si è subito materializzato il primo di una serie di architravi trasversali di calcestruzzo, così bassi, ma così bassi che alla loro vista la mia mente ha evocato un’immagine proveniente dall’infanzia: l’apertura di una di quelle scatole di sardine che si usavano un tempo, quelle con la chiavetta che arrotolava la lamiera.

Dopo due curve ad angolo retto (e così stretto che per la prima volta abbiamo rimpianto il fatto di aver ricevuto in assegnazione un auto aziendale di grandi dimensioni), siamo arrivati davanti al nostro box e qui la situazione era tale che anche l’appartenente al sesso forte della famiglia si è scoraggiato e si è lasciato prendere dal panico: non ci entreremo mai!!!!!!!!!! 

Di muso non ci si riesce e comunque sarebbe impossibile poi fare manovra per uscire; non resta che la retromarcia, con specchietti chiusi… ma ad occhio non ci passa proprio. Sì, sì… non ci si passa, ma non c’è neppure modo di uscirne se non si entra in un box: spazio per eventuali inversioni non ce n’è. 

La necessità aguzza l’ingegno e dopo un accurato studio, mettendo in cooperazione una laurea in ingegneria (angoli e trigonometria) e una in economia (calcoli di convenienza), con la collaborazione silente e un po’ scettica dei bambini che avevano colto tutta la gravità della situazione, siamo riusciti in circa 30 minuti a far entrare quell’enorme auto in quel garage minimale, calcolando centimetri e millimetri ed effettuando un numero imprecisato e uncontable (in italiano non esiste un termine così appropriato, peraltro al plurale) di manovre. 

Siamo usciti da quel garage sudati, orgogliosi della nostra impresa e un po’ timorosi del futuro, chiedendoci quanto ci sarebbero costate le praticamente certe ammaccature della carrozzeria che prima o poi nell’esercizio quotidiano avremmo fatto alla famigerata e quanto mai enorme auto aziendale, auto che non c’era tempo di cambiare in quanto il giorno dopo si presentava un altro problema. 

All’inizio della mia permanenza parigina, si supponeva che io usassi l’auto aziendale quando il marito era in viaggio e pertanto ho dovuto tentare l’ingresso al box prima che lui partisse: se avessi avuto necessità di usare l’auto, ammesso che fossi riuscita a farla uscire dal garage intatta, dovevo poi in qualche modo farcela rientrare. 
Quindi, dopo aver fatto giurare a mio marito che non avrebbe fiatato durante la manovra, se non per una giustificata e quanto mai urgente emergenza, mi sono buttata nell’impresa.

Oddio, come vorrei aver avuto una Smart!!!

Vi risparmio i penosi dettagli: alla fine ci sono riuscita e senza un graffio alla carrozzeria, ma se devo essere sincera, quasi quasi sono contenta che mi abbiano rubato la patente e che sono costretta a non guidare più fino al mio rientro in Italia, quando potrò chiedere il duplicato. Preferisco di gran lunga spaccarmi la schiena alzando il passeggino su è già per le scale della metropolitana.

Adesso quando passeggio per le vie del centro di Parigi, mi diletto a guardare gli ingressi dei garage privati, osservandoli come antri misteriosi e chiedendomi quali insidie nascondano le loro oscure profondità.
I citofoni parigini
I citofoni parigini sono stati una vera sorpresa. 
Abituata agli standard di sicurezza nigeriani, ci siamo persi l’avvento dei sistemi moderni che mi dicono siano già diffusi anche in molte zone del centro di Milano. Tuttavia, qui a Parigi sono già una prassi comune.

Gli stabili e i condomini sono praticamente blindati e adottano un sistema tanto intelligente, quanto complicato per regolamentare l’accesso delle persone.

Me ne sono accorta a mie spese quando all’inizio della mia permanenza parigina, non riuscendo ad ottenere i famigerati rendez-vous per telefono, avevo deciso di recarmi di persona all’ambulatorio/ufficio per prendere appuntamento direttamente. 

Dopo lunghe scarpinate per le vie parigine (con il passeggino cerco di evitare la metropolitana e le sue lunghe scale), arrivavo allo stabile in questione e mi trovavo di fronte ad un pesante portone chiuso, con un tastierino numerico. Niente campanello, niente citofono, battacchio per bussare o quant’altro per farsi annunciare almeno al portiere.

Ahimè, … non si scappa: il rendez-vous lo si prende solo ed esclusivametne per telefono e ci si deve ricordare di farsi dare il codice da digitare sul tastierino per aprire il portone, nonché un secondo codice o numero da utilizzare al secondo ingresso presente all’interno e che permette di chiamare al citofono la persona desiderata e farsi aprire definitivamente l’accesso.

Morale: se non imparo a telefonare in francese sono in panne.

Gli italiani mimetizzati
Si sa che “paese che vai… italiano che trovi”, i nostri connazionali sono sparsi ai quattro punti cardinali e si trovano ovunque. Tuttavia non ho mai trovato una concentrazione così marcata di italiani come qui a Parigi.

Escludiamo i turisti, che circolano in genere a gruppetti e si identificano facilmente dal modo di vestire, la macchina fotografica e lo zainetto, nonché l’argomento delle conversazioni in strada perfettamente comprensibili grazie all’elevato tono di voce.

Rimangono gli altri, quelli mimetizzati con gli indigeni locali, persone che fanno la spesa nel mio stesso supermercato e alla cassa parlano un ottimo francese; il vicino del piano di sopra che bussa alla mia porta alle 10 di sera con una bottiglia di vino in mano chiedendo di poter usare il cavatappi; teenagers che alle 7 di sera si urlano parolacce (in italiano) da un lato all’altro della strada; persone che incrocio per strada intente nello shopping in semplici trasferimenti e che conversano tra loro in italiano; la prima mamma con cui scambio due parole all’asilo e che scopro essere oriunda di… Pordenone. Quasi quasi mi sento a casa, se non fosse per qualche francese qua e là.

Una domenica mattina un’auto ci ferma per strada chiedendo indicazioni: mio marito ha ceduto subito la patata bollente a me ed io ho iniziato una difficile e sudata conversazione con la conducente dell’auto. La risposta non era difficile: conoscevo la strada, ma spiegarlo in francese era un’altra faccenda. Dopo cinque minuti di tentativi, mio marito si avvicina di nuovo, dopo aver dato un’occhiata alla targa dell’auto e chiede alla ragazza: “Scusi, ma lei è italiana?”… ovviamente sì!!!

Conclusione
La vita a Parigi ha i vantaggi e gli svantaggi della vita in città, ma tra i vantaggi ci sono quelli peculiari di una città ricca di luoghi e occasioni per divertire e svagare tutta la famiglia. Il mio primo mese di vita parigino è stato molto denso ed impegnativo, ma anche molto gratificante e, se devo fare un bilancio, questo è decisamente positivo.

Non so se ci vivrei tutta la vita, ma di certo alcune cose d’ora in poi mi mancheranno, come ad esempio l’efficienza dei servizi postali: ho fatto un prelievo del sangue ed ho trovato il risultato degli esami il mattino dopo alle 9.30 nella cassetta della posta (alla faccia della posta prioritaria italiana!!!). 

I grossi scontri culturali si limitano a poche incomprensioni sul galateo e non c’è quindi una grande sfida culturale da affrontare, cosa che generalmente nutre la mia smania di espatriare. Dei francesi mi piace in particolare la loro capacità e determinazione a godersi la vita e di crearsi degli spazi per farlo, in città e altrove: è una filosofia che incontra i miei gusti.

Per il momento quindi …..non posso che concludere: W la France!

Buon espatrio a tutti.

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3 Commenti
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fabibrex
fabibrex
8 anni fa

Ciao a entrambe, io sono una veterana del gruppo che abita a Parigi da ben 6 anni. Le mie migliori amiche e punti di riferimento per una vita in espatrio le ho proprio conosciute qui!
non esitate a contattarmi cosi da darvi tutte le informazioni e “dritte” di cui avete bisogno!!!
io ho due bimbi uno di 4 e una di 5 e mezzo ed entrambi vanno ad una scuola bilingue francese/inglese, e la loro capacità di adattamento ad altre lingue é straordinaria.
per la pediatra noi andiamo da Elena Lamberti , una signora italo/greca veramente con grandissima esperienza e molto disponibile.

ma scrivetemi o incontriamoci cosi da parlare piu facilmente!

a prestissimo

Fabiana

giulam
giulam
8 anni fa

CIao Claudia!grazie per la tua condivisione..io sono in procinto di trasferirmi a Parigi (tra due settimane) con marito, bimbo di 6,bimba di 3 e gatta!
nessuno di noi parla francese…per cui l ansia è notevole!;)
Abbiamo iscritto il grande alla prima della Leonardo da Vinci e la piccola in un asilo pubblico francese, sapresti consigliarmi un pediatra? magari ce n’è uno italo-parlante?;)
noi vivremo nel 15°!
Grazie infinite!
Giulia

elenabru
elenabru
8 anni fa
Reply to  giulam

Ciao Giulia,
Anche noi siamo in procinto di trasferirci a Parigi, probabilmente a gennaio.
Io ho un bambino di 5 anni e uno di 2 mesi.
Anche io pensavo di iscrivere il mio grande sala scuola italiana Leonardo da vinci (per ora scuola materna). Mi piacerebbe avere delle opinioni sulla scuola.