Home > Europa > Francia > Diversità in famiglia: la storia di Valentina
diversità in famiglia

Valentina si è da poco unita alla nostra comunità. L’abbiamo conosciuta in occasione di un incontro del Gruppo di Mentoring di Carriera nel quale parlavamo di “Lavorare in culture diverse”. Abbiamo capito subito che con la diversità Valentina ha un rapporto privilegiato perché la respira tutti i giorni nella sua bella famiglia. Leggete la sua storia. Noi ci siamo emozionate.

 

Nativa di Marsala, oggi Valentina vive a Parigi con suo marito sordo dalla nascita, e i suoi due figli adottivi originari del Burundi. La chiamo da Ginevra. Dai pochi accenni che ha condiviso durante un recente incontro, infatti, ho capito di trovarmi di fronte a una persona con una storia speciale. E non voglio farmela sfuggire.

Con una simpatia e un calore fuori dal comune, Valentina mi racconta che tutto è iniziato quando ha scoperto la lingua dei segni italiana. Era ancora in Sicilia, e lì ha fatto un corso per impararla.  Un corso che le ha cambiato la vita.

Il suo lavoro nel mondo dei sordi comincia a Roma, con un gruppo di bimbi. Un lavoro appassionante ma, come spesso purtroppo succede, sottopagato e pieno di sfide. Valentina decide dunque di trasferirsi a Venezia perché l’Università Ca’ Foscari è l’unica in Italia che tratta la lingua dei segni italiana alla stregua di tutte le altre. Valentina si laurea e diventa interprete.

A Venezia s’innamora e si sposa con Mirko, che poco dopo il matrimonio vince una borsa di studio con l’Università Gallaudet a Washington, unica università al mondo dove gli studenti imparano e vivono con la lingua dei segni americana. A questo punto comincio ad agitarmi sulla sedia perché intuisco il privilegio delle porte che Valentina sta per aprirmi su un mondo di cui conosco pochissimo, se non niente.

Per Mirko l’esperienza alla Gallaudet si conclude con la proposta di spostarsi a Parigi per la laurea magistrale e con un’offerta di lavoro. Valentina, che era rimasta a Venezia, sceglie un Erasmus parigino di sei mesi, che le consentirà di cominciare l’esperienza francese con qualcosa di suo tra le mani.

E per fortuna, perché i primi tempi non sono per niente facili.  Parigi l’aveva lasciata incerta da subito; il contraccolpo della distanza da casa e il disorientamento linguistico e culturale generato dall’espatrio non tardano a farsi sentire.

Per fortuna grazie all’Erasmus Valentina conosce un professore che le offre di fare un dottorato. Esperienza che amplia la sua già profonda conoscenza delle lingue dei segni, dei meccanismi linguistici e dell’atmosfera che pervade la comunità dei sordi.

Valentina mi fa, in effetti, riflettere su tante cose che non avevo considerato, o meglio detto, che proprio non sapevo. Non ero ad esempio a conoscenza del fatto che le lingue dei segni fino al 1880 erano usate negli ambienti e nella produzione culturale. Fino a quando col Congresso di Milano nel settembre di quell’anno sono state introdotte una serie di restrizioni sul suo uso. Ad esempio non sapevo (e mi si sono rizzati i capelli sentendolo) che in molti casi le lingue dei segni sono state proprio vietate, e che la corrente  medico-scientifica ha motivato questo divieto con lo slogan “il segno uccide la parola”.

Valentina mi racconta che la comunità dei Sordi si sente, a ragione, una minoranza linguistica. La lingua dei segni italiana come le altre lingue dei segni nel mondo sono delle lingue  a tutti gli effetti, anche se, naturalmente, mette in gioco sfide diverse per chi le apprende– ad esempio il fatto di dover essere organizzata spazialmente.

La cosa che mi ha assolutamente intrigata è stato il rapporto tra la lingua dei segni e la cultura da cui emana. Mi diceva ad esempio Valentina, che nelle lingue dei segni in generale delle culture occidentali, il futuro viene collocato di fronte a chi parla, mentre il passato è indicato utilizzando lo spazio dietro la schiena. In altre culture, ad esempio quelle asiatiche, la collocazione è all’inverso.

Non posso però indugiare a lungo su questi affascinanti discorsi, perché c’è un’altra cosa che mi preme tantissimo discutere con Valentina, e cioè i suoi gemelli italo-burundesi.

Poco dopo il suo trasferimento a Parigi, infatti, Valentina e Mirko avviano la pratica d’adozione internazionale. Esprimono la loro preferenza ad avere dei fratelli, e la richiesta viene accolta. Due anni fa la famiglia si apre ancora di più alla diversità, accogliendo due bellissimi gemellini, Jean Lucas e Johnathan.

Sono letteralmente stregata dallo scenario che si apre a livello di comunicazione nella famiglia di Valentina, ora che si è arricchita di due piccoli uomini che parlano kirundi. Le chiedo come si sono organizzati per comunicare in famiglia.

La prima cosa che hanno fatto è stata di trascorrere sei mesi in Italia con i piccoli, per dar loro una base – e chissà, forse delle radici comuni ai genitori – e permettere loro di famigliarizzare con la lingua italiana parlata.

Poi però c’era la lingua dei segni italiana, per parlare con papà. E qui Valentina mi dice con un sorriso che la stanno imparando velocemente, e bene, anche se ora, installati da tempo a Parigi, fanno i conti con un’ulteriore lingua, quella della scuola e della socializzazione.

E Valentina che fa ricerca sulle lingue dei segni, nel frattempo  continua lo studio della lingua francese parlata e della lingua dei segni francese con l’obiettivo di diventare anche interprete della lingua dei segni in Francia.  Per fare ciò infatti deve infatti dominare alla perfezione entrambe le lingue.

Adesso è contenta in Francia, e si sente molto grata. Suo marito ha avuto un posto di ricercatore al CNRS, cosa, mi dice, assolutamente impensabile in Italia.

E’ piuttosto amareggiata dal fatto che il nostro bel paese non perda occasioni per mostrare il suo provincialismo, e il trauma che la diversità provoca ciclicamente nei suoi abitanti. Mi racconta un paio di aneddoti che le sono successi in vacanza con i suoi figli, il più clamoroso quello di una signora che li rincorreva, smartphone alla mano, su una pubblica piazza, per farsi un selfie con loro perché “sono tanto belli”.

Non commento oltre. Dico solo che per fortuna esistono persone come Valentina che con il suo esempio quotidiano ci dimostrano che la diversità è ricchezza, che quando si ama tutto è possibile e che non esiste disabilità né colore della pelle quando si ragiona con l’umanità nel cuore.

 

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Ginevra, Svizzera
Marzo 2021
Tutte le foto ©ValentinaAristodemo

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