Home > Africa > Sudan > Flash da Khartoum
nuovo espatrio

Elisabetta è italiana e attualmente vive in Madagascar, ma prima di approdare in questo affascinante paese, ha vissuto in Sudan (e in tanti altri posti!). E al Sudan si riferiscono questi flash di vita, queste riflessioni di chi le realtà dei luoghi le vive da dentro. Grazie Elisabetta !!

Gli Italiani di Khartoum

Sembra strano ma sono tanti gli italiani in Sudan molti dei quali i religiosi.

A detta di Eugenio Fantusati nel suo libro “Sudan  terra dei 3 Nili” l’italiano era addirittura lingua franca commerciale dopo l’arabo a Khartoum nell’800.

Un amico giornalista mi disse anche che se si voleva un’informazione aggiornata e sicura su qualsiasi Paese africano bastava rivolgersi ai frati comboniani che sono basati capillarmente su tutto il territorio….

Finalmente ho incontrato queste suore e questi preti comboniani presenti qui da tantissimi anni.

Nonostante una certa avversione per il suo lato storicamente violento, ho sempre ammirato l’azione missionaria in Africa, soprattutto quei preti soli in villaggi sperduti alle prese con la costruzione di un rapporto umano con culture così diverse.

Ma queste sono suore di città, una ventina, tutte anziane, molte con esperienze intense  alle spalle, qualcuna ha vissuto gli anni più duri della guerra civile nel sud del Paese, hanno voglia di raccontare e mi parlano tutte insieme.

Quasi tutte potrebbero ormai concedersi una meritata “pensione” in Italia, macchè, si è dovuta costruire una dependence per alloggiarle chè vogliono stare qui, dove hanno passato metà della loro vita.

Una scuola elementare e una maternità: la scuola, Villa Gilda, accoglie 750 bambine, le classi sono gremite, molte, bellissime sono state affrescate da una suora polacca negli anni 60, lo stile è quello della vecchia pubblicità della crema solare Bergasol, se vi ricordate il cagnetto che tira lo slip della bimba bionda coi codini, i colori un po’ scuri, le scene campestri di giochi tra bambini, i tratti fini delle pennellate;  di fianco, nell’ospedale St Mary si eseguono fino a 10 parti al giorno, la sala d’attesa è piena di donne avvolte  in veli colorati, silenziose; l’accettazione, mi spiegano, funziona col principio del  “livello di indigenza”: per chi non può permettersi il prezzo esposto, dopo un colloquio con l’assistente locale, si concorda il prezzo da pagare secondo le possibilità reali della famiglia. Nessuno è curato gratis.

Visito ai piani sopra le camere e le sale parto, niente da invidiare al S. Orsola di Bologna!

L’ostetrica ci fa da guida, parlando salta fuori la domanda cruciale, sì, il 95% delle donne ricoverate sono infibulate, hanno cioè le labbra cucite, il che vuol dire dover incidere per far uscire il neonato per poi ricucire la ferita con problemi di evacuazione delle urine e del sangue mestruale e di eventuali emorragie, ma cosi è, almeno ancora per questa generazione, visto che sono le nonne a spingere le bambine verso questa pratica; una piaga africana che le innumerevoli campagne di sensibilizzazione ancora non hanno guarito.

Negli ultimi anni la mortalità registrata è bassissima, nessuna madre, solo qualche neonato, soprattutto di madri che vengono da lontano e non sono state seguite durante la gravidanza.

Ovviamente il governo sudanese sorveglia da vicino con controlli settimanali e molto severi il funzionamento di scuola e ospedale, si lamentano le suorine mostrandomi un bel generatore nuovo fiammante da far invidia a un’Ambasciata.

Del resto è comprensibile: si tratta di  una struttura privata gestita da religiosi non mussulmani e  stranieri, tutto deve essere a norma e lo è , molto di più che nelle strutture statali. Tanto che sono proprio ricchi e politici i primi a mandare qui le loro mogli e figlie !

Male al cuore

Soba, un quartiere povero a sud di Khartoum, la periferia di una capitale africana. Un’edificio rosso nuovo fiammante sulla riva del Nilo azzurro, è l’ospedale di Emergency per i malati di cuore. Entro tramite un’amica dell’ambasciata, l’accoglienza è calorosa negli uffici freschi da condizionatore; li conosco quasi tutti di vista i volontari, li vedo alla piscina il venerdì ma non ci siamo mai parlati.

Mi spiegano il lavoro, le problematiche, le statistiche, io azzardo anche qualche domanda fastidiosa, ma nessun problema; poi una chiamata improvvisa, mi invitano a visitare sale operatorie e reparti. Silenzio, pulizia, mi cambio e metto un camice verde con tanto di mascherina, zoccoli in gomma e bustina in testa come nei telefilm.

Sono dentro alla sala, un’operazione al cuore è appena cominciata, è tutto così improvviso che mi sporgo pure a guardare un torace aperto con i vari tubicini che entrano ed escono, non sento niente.

Poi vedo sotto i vari teli verdi una testina, è un bimbo eritreo di 3 anni che stanno operando, ha una malformazione del ventricolo, un corpicino.

Ci spostiamo nella sala accanto, c’è un famoso cardiochirurgo tedesco, l’intervento è quasi finito, ancora un torace aperto con organi che pulsano. Mi sento debole e chiedo di uscire, non è il sangue, ma la situazione paradossale: persone che vengono qui da mezza Africa a farsi curare gratis, medici e infermieri che lavorano ininterrottamente per fare 4 interventi al giorno, il rischio della morte dietro l’angolo… Poi la terapia intensiva, bimbi intubati con un enorme cerotto sul torace, c’è  un bimbo di 21 giorni la cui operazione è andata benissimo, la mamma lo culla.

Conosco perfino Gino Strada, per caso è nel suo ufficio, fuma, racconta, ha l’aria un po’ cinica e per niente tenera, ma la tenerezza, ho imparato, ha poco a che vedere con l’azione umanitaria sul campo…

A casa cerco di riconsiderare tutto con distacco e allora affiorano i pensieri perché qualcosa non torna: una clinica così sofisticata – ce ne sono 5 o 6 al mondo così- una macchina così perfetta propri qui, in Sudan, una parte del finanziamento è statale – e lo stesso capo dello stato sudanese é incriminato di genocidio – i costi enormi… non é sviluppo che duri questo commenterebbe il mio compagno  ma basta, mi fermo, voglio crederci anch’io, a tante persone é cambiata la vita, è stata salvata la vita, è quello alla fine che conta. E questi sono i fortunati.

Campi profughi e vita da expat

IDP o Internal Displaced People sono i  rifugiati all’interno del loro Paese d’origine; si sono spostati per motivi economici, per carestie, persecuzioni e conflitti;

Poi il governo rade al suolo le baracche e li trasporta in camion dove gli fa più comodo, o meno scomodo; dopo 12 mesi a Khartoum finalmente  ho visitato uno di questi campi, non in Darfur ma a 2 ore a nord di Khartoum, perchè in realtà ce ne sono ovunque nel nord del paese anche se l’attenzione internazionale si concentra ad ovest al confine con il Ciad nella regione chiamata Darfur = la casa dell’etnia Fur.
Mi aspettavo gente dappertutto, senza lavoro, miserabili, invece un deserto, non un filo d’erba non una goccia d’acqua,  carretti tirati da asini con sopra taniche arrugginite che vanno avanti e indietro a venderne di acqua, anche quello è un business, caldo e polvere, silenzio, qualche autobus, sì perché il campo vero e proprio é formato da 3 quartieri e si dice che ci abitino tra 200 e 500.000 persone … gli uomini salgono e vanno a cercare lavoro in città, le donne e i bambini restano, regine della capanna o della tenda.

Silenzio, nessun grido di tragedia, la tragedia è il quotidiano e ci si abitua: l’operaio che scavava le latrine per il training center dell’ONG per la quale lavora il mio compagno è appena morto morso da uno scorpione e la direttrice del dispensario ha una figlia di 5 anni alla quale hanno amputato la mano destra per una scossa elettrica; esempi….
Il dispensario funziona bene, 4 container a perimetro, sacchi di iuta e sacchi bianchi e blu dell’ Unicef a fare da tetto, panche di ferro nella sala d’attesa e terra come pavimento: c’è l’ambulatorio, l’ostetrica, la farmacia e pure il centro prelievi con il laboratorio, il microscopio funziona con il generatore a benzina;
Ernie, infezioni polmonari, vaccinazioni…. il governo ficca il naso nel funzionamento e nella gestione ma non passa un soldo!
Qui  non si fa sviluppo, ma carità: se l’ Ong se ne va la baracca chiude o diventa a pagamento che è quasi la stessa cosa…..
Sono rientrata sudata e sporca.
La cosa più assurda che mi capita di pensare dopo tutto?  Ieri ero lì, stamattina ero alla residenza greca a fare streching con le mogli degli ambasciatori!
In che vita strana mi ritrovo : impotente, curiosa, forse pure ipocrita testimone di questo angolino di terra.

Elisabetta  

Già che sei qui ...

... possiamo chiederti di offrirci un caffe ? Scherziamo, naturalmente, ma fino a un certo punto. Come forse avrai notato, Expatclic non ha  pubblicità nè quote associative obbligatorie. Da 19 anni lavoriamo volontariamente per garantire dei contenuti e un'assistenza di qualità alle espatriate in tutto il mondo. Mantenere un sito di queste dimensioni, però, ha dei costi, che copriamo parzialmente autotassandoci e con donazioni spontanee di chi ci segue e apprezza da anni. Se tu potessi dare anche solo un piccolo contributo per coprire il resto, ti saremmo immensamente grate ♥ Puoi sostenerci con una donazione, anche se piccola. Grazie di cuore.
Subscribe
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments