Home > Arte e Cultura > Tradizioni > Riti e tradizioni in espatrio: il loro ruolo nella nostra interazione con la cultura ospitante

Claudiaexpat riflette sul ruolo che i riti e le tradizioni che scopriamo durante il nostro espatrio hanno sulla relazione che stabiliamo con la nostra cultura ospitante, ma anche sullo sviluppo della nostra identità.

 

I nostri riti e tradizioni, storie, occasioni e credo culturali formano in parte la nostra identità. Continuare ad osservarli e celebrarli anche quando siamo lontani è un potente modo per restare connessi alla nostra cultura originaria e non perdere quel senso di riferimento e di appartenenza così importante quando le radici vengono tranciate di netto per essere ripiantate – temporalmente o a tempo indeterminato – in altri suoli.

Questa parte di mantenere i rituali e le tradizioni che sono importanti per noi normalmente va di pari passo con il nostro aprirci ed esplorare quelli del paese che ci accoglie. Sappiamo tutti che riti e tradizioni sono uno dei tanti modi in cui una cultura organizza le proprie interazioni. Probabilmente il modo più accessibile per noi, quantomeno nel primo periodo dopo il nostro arrivo, per cominciare a penetrare quella cultura.

Foto ©ClaudiaLandini

Se avete anche solo un minimo di infarinatura in ambito interculturale, ricorderete che la punta dell’iceberg della cultura – cioè la cultura esplicita – è quella che possiamo sperimentare attraverso i nostri sensi. Le tradizioni tipiche di un paese si esprimono in eventi che possiamo osservare coi nostri occhi, udire, in certi casi persino odorare.

In questo senso riti e tradizioni rappresentano una chiave di penetrazione molto importante nel nostro nuovo paese. A seconda delle tradizioni che vi vengono osservate, del modo in cui vengono osservate – ad esempio con la caparbietà in cui vengono riproposte – e del fervore che le circonda, capiamo in cosa quella cultura investe emotivamente, e quali sono i valori più importanti che la guidano.

Sto pensando ad esempio al Palio di Siena, evento che vede impegnate le contrade per un intero anno di preparativi, e che per la popolazione della città è il fulcro attorno al quale ruotano gran parte delle relazioni sociali. O alle corride e altre manifestazioni in cui s’impiegano i tori in Spagna, e alla controversia che queste regolarmente suscitano, pur restando di estrema importanza nella mente e nelle vite di una grandissima fetta di spagnoli. E così via.

Foto: Pixabay

Questo significa che spesso alcuni rituali possono funzionare in maniera controproducente per chi deve ambientarsi in una nuova cultura. Cosa succede e come ci sentiamo se determinate tradizioni esprimono valori coi quali proprio non riusciamo ad allinearci? Il rapporto che formiamo con il paese che ci ospita è intimo e personale, e spesso cammina su un debole equilibrio che deve fare i conti con la distanza che si forma quando i valori di base sono discordi.

Io, ad esempio, non sopporto le celebrazioni consumistiche, che alla fine sono tutte quelle che vengono importate in culture con le quali non hanno in origine nulla a che fare, ma che per qualche motivo attecchiscono e danno il via a uno spendi spendi generalizzato quando si avvicinano. In Indonesia, dove solamente circa il 10% della popolazione è cristiana o cattolica, il consumismo legato al Natale è talmente esasperato (ed esasperante) da permeare l’atmosfera di plasticità e innaturalità.

O Halloween: con il fascino che i vicini Stati Uniti esercitano su alcuni paesi latino-americani, ogni anno a ottobre, mentre vivevo in Honduras, mi toccava scarpinare dietro ai miei bambini di casa in casa, in quella che era palesemente una spudorata raccolta di zuccheri mascherati dal simpatico ritornello “Trick or treat”.

Per non parlare di alcune tradizioni o rituali che in alcuni paesi africani prevedono che la vedova venga risposata al fratello del defunto, o che se in famiglia qualcuno si ammala, si trovi un capro espiatorio a cui farla pagare – e non sto parlando di caprette (e mi dispiacerebbe comunque tanto), ma di persone in carne ed ossa. Il mio adorabile cuoco ultrasettantenne a Brazzaville si era trovato in una situazione del genere, quando una nipote aveva contratto l’AIDS e la famiglia aveva deciso che la colpa, in modo molto libero e generico, fosse da imputare a lui.

Ci sono però quei riti e tradizioni che invece ci mettono in una disposizione positiva. Spesso ci piacciono talmente tanto che li adottiamo, magari modificandoli un pochino per adattarli alle nostre circostanze, e li portiamo con noi nei futuri paesi.

Sto pensando ad esempio alla piñata, di cui ho parlato qui, o a quello che Lisa Finn-Powell, che con la sua presentazione alla conferenza della Families in Global Transition di quest’anno (2021) ha ispirato questo articolo, ha vissuto con il Dia de los Muertos in Messico: le celebrazioni così vive, sentite e affettuose che i messicani (ma anche altri popoli nel mondo) riservano ai loro antenati l’hanno talmente colpita, che ha deciso che ogni anno avrebbe organizzato un giorno per onorare i suoi. Da allora il suo personale Dia de los Muertos la vede preparare un pannello con vecchie foto di antenati, scambiare aneddoti coi suoi figli, e farli riflettere sulle persone che hanno abitato la linea del loro passato.

Quest’aspetto dell’espatrio mi è sempre sembrato importante e confortante. Vivere a contatto con culture diverse significa diventare individui più ricchi perché sperimentiamo in prima persona una serie di eventi, modi di organizzarsi, espressioni di sentimenti che non avremmo magari modo di conoscere altrimenti. Significa anche, però, modificare la propria identità per far spazio a stimoli e idee che questi eventi ci ispirano.

Se volete condividere riti e tradizioni che avete fatto vostri nel corso della vostra vita all’estero, venite sul nostro gruppo FB, o scriveteci! Siamo sempre contente di fare nuove scoperte.

 

Claudia Landini (Claudiaexpat)
Toscana
Marzo 2021
Foto di testata: Pixabay

 

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