Home > Africa > Libia > Storie di italiani in Libia, raccontate da Gabriella

Gabriella segue dall’Italia le vicende che stanno infiammando il Medio Oriente, e in questo articolo ci parla della Libia attraverso storie di amiche che hanno conosciuto il paese in prima persona. Con l’augurio che le cose tornino alla normalità rapidamente e che il sangue delle vittime di questa rivolta non sia stato versato invano. Grazie Gabriella!

I fatti

italiani in libia

Tripoli negli anni ’60

Luglio 1970 – a meno di un anno dalla sua ascesa al potere e dalla proclamazione della “Grande Repubblica Araba di Libia Popolare e Socialista” (Jamāhīriyya), il colonnello Muammar Gheddafi promulgò le Leggi Libiche, che sancirono la confisca dei beni (circa 400 miliardi di lire dell’epoca) e l’immediata espulsione dal paese di tutti gli italiani in Libia e gli ebrei, con interdizione a vita; tutto questo in aperta violazione al trattato ONU del 1957, che tutelava i cittadini italiani e i loro averi, compresi i contributi previdenziali che l’Italia aveva versato alla Libia.

Dopo due generazioni di sacrifici, duro lavoro e amore sincero per quella terra desertica e affascinante, circa 20.000 italiani in Libia, intere famiglie spogliate di tutto e bollate con il titolo di profughi, furono imbarcate per l’Italia, un’Italia di quarant’anni fa completamente impreparata ad accoglierle sia materialmente sia, soprattutto, mentalmente.

Quel rimpatrio forzato fu peggio di un espatrio: nonni, genitori e figli, per ciascuno di loro la sofferenza del distacco, la perdita di tutto e l’inserimento in una realtà sconosciuta, diffidente e spesso ostile nei loro confronti, furono uno choc che provocò una ferita tuttora aperta.

Febbraio 2011 – abbiamo assistito tutti alla feroce repressione di quel movimento popolare che chiede solamente ciò che spetta a tutti gli uomini di una società che si definisca civile: osservanza dei diritti fondamentali, rispetto e tutela della persona, libertà di espressione.

Il folle personaggio è sempre lo stesso che quarant’anni fa cacciò i nostri connazionali; ora come allora, l’esodo dalla Libia è una fuga disperata da un tiranno assassino, che per anni ha vergognosamente calcato il palcoscenico della vita politica mondiale, più volte omaggiato ospite anche in Italia.

 

Le proteste in Libia

Le storie

Personalmente non sono mai stata in Libia, nemmeno in vacanza, ma ho parecchie amiche che hanno vissuto alcuni anni a Tripoli, ed è attraverso le loro storie che vorrei raccontare il fascino di quella terra.

La prima si chiama Anna, ci siamo conosciute a Roma, dove lei abita con la sua famiglia; Anna è una tripolina, nata negli anni ’50 da una famiglia italiana spinta ad emigrare da quel forte spirito pioneristico che da sempre ci contraddistingue.

L’infanzia e la prima adolescenza sono periodi felici, ricchi di esperienze indimenticabili comuni a tutti i ragazzi: i giochi, la scuola, i grandi orizzonti del deserto, il mare, gli amici e i primi amori; poi  i ricordi belli si interrompono, lo scenario si strappa e non si ricuce più.

La grande nave, una valigia a testa; l’arrivo in Italia, una terra sconosciuta, la sistemazione provvisoria in un centro profughi, e poi lo smistamento verso diverse città; la diffidenza delle persone, l’ignoranza, il dolore di non riuscire ad essere accettata come italiana a pieno titolo, la chiusura affettiva all’interno della comunità degli “Italiani d’Africa”, un guscio che custodisce e protegge i ricordi più belli, il matrimonio con “uno come lei”, nato a Tripoli, finito in un’altra città e ritrovato dopo molti anni.

Moltissimi tripolini si sono sposati tra di loro, e questo è sintomatico di una nostalgia e di un sentimento di appartenenza a una terra mai cancellati, nonostante il tempo.

Per Anna questi che viviamo oggi sono giorni di angoscia e di speranza: da quarant’anni sogna di poter presentare alla frontiera libica il suo passaporto con scritto “nata a Tripoli” senza essere respinta. Tra poco questo suo grande desiderio potrebbe finalmente realizzarsi.

italiani in libia

Tripoli, foto di classe 1965

La seconda amica è Roberta, lei ha vissuto a Tripoli negli anni ’80 al seguito del marito, che lavorava laggiù per una società petrolifera italiana; a quel tempo era in vigore l’embargo, che limitava i rifornimenti dall’Occidente e vietava il sorvolo di aerei sopra Tripoli, costringendo gli stranieri ad atterrare in Tunisia.

Ogni volta che si recava in Libia, Roberta con i suoi bimbi piccoli percorreva “alla rovescia” il lungo cammino che in questi giorni stanno facendo le migliaia di persone che scappano oltre confine: atterrava a Djerba, saliva su un pullman polveroso e sgangherato, sobbarcandosi un faticoso viaggio nel deserto, e sostava ore e ore alla frontiera, in attesa di essere ammessa, dopo infiniti, interminabili controlli.

La vita a Tripoli non era facile allora: le case erano vecchie e fatiscenti, i servizi pubblici e le infrastrutture pressochè inesistenti; nei negozi c’era scarsità di generi alimentari e di prima necessità, tranne quando fortunosamente arrivava qualche container dall’Italia: allora si spargeva la voce e si correva a fare provvista per mesi di quello che era disponibile.

La comunità italiana era molto unita, e la vita scorreva semplice e felice nonostante i sacrifici: anche allora il mare e il deserto esercitavano un grande fascino, e Roberta, come tutti gli altri espatriati, conserva immagini splendide e ricordi affettuosi di quel lembo d’Africa.

L’ultima amica si chiama Daniela, lei è partita per Tripoli nel 2001 ed è rimasta quattro anni con marito e figlia adolescente; la situazione era molto migliorata rispetto ai decenni precedenti per gli italiani in Libia: c’erano negozi di ogni tipo e si trovavano tutte le più famose marche di prodotti, molti quartieri nuovi erano stati ultimati in zone moderne e ben servite, erano state costruite o riaperte numerose scuole internazionali, il turismo aveva preso piede e le più belle località naturali e archeologiche erano state preparate per i visitatori.

La vita era diventata piacevole, il clima è favorevole, non c’erano particolari problemi, anche se era ancora difficile ottenere i visti di ingresso; la popolazione però, come sappiamo, viveva sotto il giogo della dittatura, e anche se apparentemente non esistevano situazioni di miseria e disoccupazione, la libertà mancava più dell’aria che si respira, e il tappo della bottiglia, ermeticamente chiuso per anni, ora è saltato.

Il popolo libico sta lottando per il sacrosanto diritto di autodeterminazione, per vivere una vita non imposta da altri, e tutti ci attendiamo un lieto fine; chi di noi è stato laggiù, spera di poter ritornare un giorno in un paese libero, e chi come me non c’è mai andato, coltiva il desiderio di conoscerlo meglio, e di poter ascoltare in un clima di pace e unità nazionale il meraviglioso canto del deserto.

 

Gabriella
Milano
Febbraio 2011

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